Recensioni, Serie TV

Perché Strappare Lungo i Bordi è probabilmente la serie più introspettiva del momento

Dopo quasi un anno di attesa, approda non troppo silenziosamente su Netflix. Sto parlando di Strappare Lungo i Bordi, la prima serie animata firmata dal fumettista italiano Zerocalcare. Ma se pensate di trovare solo grandi risate, vi sbagliate di grosso.

Again, faccio mea culpa. Ho scoperto Zerocalcare solo durante il primo lockdown, con i suoi cartoni della serie Rebibbia Quarantine. Un po’ perché non sono una grande appassionata di fumetti, un po’ perché, come sempre, alle cose ci arrivo sempre più tardi rispetto agli altri. Pazienza, ormai mi sono rassegnata.

In sostanza, ieri mentre ero sul treno ho pensato di iniziare questa serie animata senza avere la più pallida idea di quali argomenti avrebbe trattato. Ero pronta a tematiche sociali, conoscendo un minimo l’artista, ma sono sincera quando dico che non mi sarei aspettata una tale delicatezza nel trattare un tema tanto scomodo quanto, purtroppo, reale e diffuso [seguiranno spoiler].

La storia di Zero e dei suoi amici Sara e Secco si spalma su diversi piani temporali. Nella linea principale, i tre amici stanno affrontando un viaggio di cui solo alla fine scopriamo la destinazione. Nelle altre linee, invece, scopriamo gli aneddoti delle loro vite fin dalle scuole elementari e il rapporto di Zero con Alice, una ragazza conosciuta all’età di 17 anni e con la quale ha sempre avuto un rapporto fatto di tira e molla, fatto di cose non dette e di sguardi dati di nascosto.

Mentre percorriamo insieme al protagonista i passi della sua giornata e del suo viaggio verso questa destinazione misteriosa, facciamo noi stessi un viaggio introspettivo alla ricerca dei momenti cruciali della nostra vita. Il titolo, all’apparenza senza un vero senso, si rivela un mantra, un monito per tutti noi, per ricordarci di quello che dovremmo essere chiamati a fare nella nostra vita: strappare lungo i bordi di quella linea tratteggiata che comporrà la figura della nostra vita.

Solo che arriva un punto in cui non ci riusciamo, capiamo che stiamo fallendo, e la paura ci fa chiudere gli occhi. Chiudiamo gli occhi perdiamo il senso di dove stiamo andando. Perdiamo l’orientamento e sappiamo che non stiamo più strappando lungo i bordi, ma non abbiamo più il coraggio di guardare quel foglio, che finisce per essere un pezzo di carta straccia nella tasca di un cappotto vecchio e logoro che abbandoneremo da qualche parte. E che un giorno ritroveremo e bruceremo per riscaldarci, ottenendo un labile conforto da quella vita che ormai non è andata come avremmo pensato né come avremmo voluto.

Avvolti in questa consapevolezza, veniamo risucchiati da un vortice di pensieri logorroici come quelli del protagonista e ci ritroviamo a fare riflessioni esistenziali anche per scegliere quale pizza mangiare. Eppure, scopriamo alla fine, siamo più fortunati di quello che pensiamo. Siamo fortunati perché riusciamo a trovare, sempre e comunque, un motivo per andare avanti. Un motivo per non pensare a quel foglio fatto di linee tratteggiate, sogni e ambizioni che ormai abbiamo lasciato fuori dal nostro disegno. Un motivo per non essere ossessionati da tutte quelle cose che abbiamo escluso dalla nostra vita. Siamo fortunati. Perché, per molte persone, quel labile conforto dato dal bruciare il foglio di carta ormai troppo vecchio non è abbastanza.

Nella nostra società, ormai, restare indietro e perdere per strada dei pezzi della propria ambizione, sembra essere irrecuperabile. In una società dove l’impegno e le ambizioni dei più fragili vengono costantemente mortificate, è normalissimo e più che umano cedere. E quando a questo si aggiungono ulteriori problematiche, ecco qui che ci manca la terra sotto i piedi. C’è chi ce la fa e chi no. E non è una colpa. Non è una questione di essere forti. E’ una questione di coincidenze, di momenti, di persone giuste al momento giusto.

Ecco, quella che sembrava una serie leggera e fatta per ridere si trasforma in un momento di riflessione profonda e che fa venire il nodo alla gola. E’ giusto abbandonare i propri sogni e perdere la voglia di vivere? E’ anche solo pensabile il fatto che una persona piena di vita e di speranze per il futuro venga costantemente mortificata da una società che non le consente di farsi valere con le proprie forze? No. La denuncia sociale è potentissima e io l’ho sentita davvero penetrarmi come una lama.

Sarà che mi sono riconosciuta molto in Alice. Negli ultimi due anni l’insoddisfazione si era impossessata di me nelle forme più brutte, mi ero convinta che tutto quello che avevo fatto non fosse abbastanza, che non fossi più in grado di fare nulla, che non meritassi la felicità né tantomeno la soddisfazione personale. Tanto che ho dovuto iniziare un percorso di psicoterapia. E, parallelamente, neanche a farlo apposta, mi sono avvicinata al pugilato, dove ho trovato una forza che non pensavo di avere. Perché, come dice Alice, nella vita i pugni si prendono sempre. A questo punto, tanto vale imparare ad incassarli.

Devo dire che un’altra cosa che mi è piaciuta tantissimo è stata la reazione di Zero al funerale di Alice. Una reazione reale, di una persona che si colpevolizza perché avrebbe potuto esserci di più. Ma proprio qui – e direi per fortuna – tutto prende una piega diversa. Si esce da quel vittimismo che sentiamo troppo spesso, dove la colpa del suicidio è sempre di qualcuno tra quelli che restano, per accettare una verità forse ancora più cruda ma del tutto veritiera: non possiamo controllare le vite degli altri. Possiamo essere d’aiuto. Possiamo provarci. Ma non possiamo e non dobbiamo colpevolizzarci per le scelte altrui. Siamo fili d’erba in un prato. Anche se spesso darci la colpa è più semplice che accettare di essere, appunto, un filo d’erba e di non aver davvero avuto il potere di fare nulla.

E quindi, con il funerale di quell’amica speciale, Zerocalcare conclude la sua prima serie TV con un messaggio poco edulcorato: se avete pensieri suicidi, chiedete aiuto. Chiedere aiuto non è da persone deboli, e anche se lo fosse non ci vedrei nessun problema. Chiedere aiuto è un atto d’amore verso sé stessi, è riprendere a strappare lungo i bordi, in qualsiasi direzione, dando comunque un taglio unico alla propria vita. Unico, inimitabile e soprattutto degno di essere vissuto.

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