Recensioni, Serie TV

Cosa non ha funzionato in Katla, la prima produzione Netflix islandese

Persone ricomparse dal nulla, misteri irrisolti, bambini inquietanti e un vulcano attorno a cui succedono cose strane. È questa la trama di Katla, prima produzione Netflix islandese, che però mette troppa carne al fuoco e, alla fine, si perde in un bicchier d’acqua. E più che a Dark, in realtà, strizza l’occhio a Curon ma lo fa decisamente male.

Avevo letto recensioni spaziali: Katla doveva essere la nuova Dark. A leggere in giro c’era tutto il necessario. Mistero, probabili viaggi spaziotemporali, mitologia, ambientazione nordica. Il trailer, poi, era più che promettente. Basta sentire parole tipo “è evidente che voi due siete la stessa persona” per farmi rizzare le antenne seriali e pensare che, forse, ho davanti un buon prodotto. Ci ho provato, ho guardato i primi sei episodi in un paio di giorni, sperando che arrivasse qualcosa di notevole.

“Eppure su Google ha una percentuale di gradimento dell’87%” pensavo. Di solito non è così alta per questo genere di serie. Queste serie, di solito, le guardano quelli che ci capiscono qualcosa. Per farvi un esempio, La Casa di Carta ha una percentuale di gradimento su Google del 96%, ma sappiamo che è una serie vista da un numero maggiore di persone. Queste serie più piccine, quasi di nicchia è difficile piacciano a così tante persone. Vi basti pensare che, sempre su Google, Dark piace al 95% delle persone, praticamente meno di quanto piaccia La Casa di Carta. Situazione simile su TV Time, dove Katla riporta un gradimento del 91%, quindi piuttosto alto.

Un concetto poco originale: persone che tornano in vita

Già al termine del primo episodio ho iniziato a storcere la bocca. C’erano troppi elementi che mi ricordavano una serie che, purtroppo, mi ha fatto rimanere davvero male, Glitch. Per rinfrescarvi la memoria, in Glitch (produzione australiana disponibile su Netflix, ma non perdeteci tempo) alcune persone morte tornano in vita senza un’apparente ragione. La storia, interessante per le prime due stagioni, va scemando nell’ultima fino a rasentare il ridicolo, concludendosi a tarallucci e vino e buttando all’aria tutte le grandissime aspettative che si erano create (sì, peggio di Game of Thrones!). Ecco, all’inizio avevo paura che Katla somigliasse a Glitch.

Ambientata nella cittadina islandese di Vik, uno dei centri abitati più grandi, che ospita la famosa spiaggia di sabbia nera. L’eruzione del vulcano Katla, un vulcano realmente esistente, provoca l’evacuazione dell’intero centro abitato per via dell’aria divenuta ormai irrespirabile. Restano a Vik solo poche persone, tra cui alcuni geologi e soccorritori. Ecco che, già dal primo episodio, iniziano a spuntare persone ricoperte di cenere che si rivelano essere persone scomparse o, nel caso di Gunhild, doppioni di persone esistenti. Lì per lì la storia sembra interessante, ma la domanda principale è: cosa sta succedendo? Chi sono queste persone? E perché sono tornate?

Ecco, a parte qualche occhiatina a leggende fiabesche o elementi di fantascienza, Katla non offre nessuna risposta concreta. Sentiamo menzionare i Changeling, creature collegate a storie di fate e folletti che tornano sulla Terra per qualche ragione, ma non abbiamo prove certe. Per praticamente otto episodi viaggiamo sul filo del rasoio per capire se tutta questa storia possa avere un vero filo conduttore, che però alla fine non troviamo. Verrebbe quasi da dire che, forse, l’intento di Katla era mostrarci un aspetto più introspettivo dei personaggi, che vengono aiutati da questi Changeling a raggiungere il proprio scopo. Ma in realtà non è del tutto vero, perché non tutte le storie terminano bene.

Un sentore di ripresa sul finale, che però ci lascia sempre senza risposte

Sul finale però, più precisamente nel penultimo episodio, fa capolino una teoria piuttosto interessante che, devo dire, per qualche minuto ha riportato la mia attenzione ad un livello consono. Sul fondo del vulcano Katla sembrerebbe esserci un meteorite arrivato da un’altra galassia. Beh, se iniziamo a parlare di potenziali alieni e non di divinità che ci restituiscono una specie di grillo parlante con le sembianze di chi è morto, tutto cambia. Ma questa teoria non trova alcun fondamento, anzi, rimane una teoria per solo uno dei protagonisti. Non viene condivisa né avallata da altri personaggi. In pratica è messa lì così per darci un contentino.

Il finale di stagione, poi, non ha senso. Non si capisce cosa sia successo, tutto avviene in modo così vago che lascia presupporre che ci sarà una seconda stagione. Ma ce n’è davvero così bisogno? L’espediente delle persone uguali che tornano o si sostituiscono ad altre, ormai, è più che sdoganato. Anzi, è anche piuttosto inflazionato. Mi era piaciuto in Curon, serie che purtroppo in molti continuano a denigrare solo perché italiana, ma che invece è stata un buon banco di prova per la serialità nostrana all’estero. Guarda caso, su TV Time è apprezzata quasi solo da non italiani. Non che Curon non avesse difetti, ma la trama era interessante e avvincente, con un finale degno di un’attesa per la seconda stagione.

Ha senso continuare una serie del genere?

Katla mette insieme troppi elementi che cozzano tra loro, non riesce ad amalgamarli, con il risultato di una serie fredda e sterile, senza troppi complimenti. Unica nota veramente positiva: l’ambientazione. L’Islanda è una terra meravigliosa, bella, ma soprattutto viva. Proprio per questo mi sarei aspettata una trama più profonda, più ragionata e meno statica. È un peccato, perché quella che poteva essere una grande occasione è andata irrimediabilmente persa, con il risultato che non ho assolutamente hype per una eventuale seconda stagione. Neanche questa volta, quindi, sono riuscita a trovare una degna rivale di Dark o di The OA. A questo punto, vi lascio con una domanda: che senso ha continuare a produrre serie come Katla se un gioiello come The OA, che aveva tutte le carte in regola per essere un piccolo capolavoro, è stato cancellato a fine seconda stagione?

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