Recensioni, Serie TV

Equinox: un regalo di fine anno tra mitologia e rituali

Il 2020, è opinione comune, non è stato tra i migliori anni. Tuttavia, Netflix ha pensato bene di farci un ultimo piccolo, e abbastanza gradito, regalo di fine anno: Equinox.

Serie originale Netflix made in Denmark, Equinox era stata presentata con un trailer ambiguo che parlava di persone scomparse e di qualcuno – una voce – che sapeva la verità. In un primo momento abbiamo tutti pensato a qualcosa simile a The OA (non mentite, lo so che lo avete pensato), ma sapevamo benissimo dentro di noi che la bellezza di quella serie che è finita troppo presto è ineguagliabile.

Cugina alla lontana di produzioni riuscite per metà come The Rain, Equinox si permette di usare un po’ di più e di scomodare la mitologia pagana con una propria rivisitazione in chiave macabra e decisamente accattivante.

La trama è scorrevole e la regia non risulta particolarmente pesante, sebbene io abbia personalmente trovato il doppiaggio a tratti un po’ surreale (“cosa è successo?” “Qualunque cosa” mi suona ancora più irreale del doppiaggese a cui siamo abituati).

La fotografia è lineare e semplice, e ho letteralmente adorato le scene riprese attraverso gli specchi. Non per ultima, una notevole attenzione ai dettagli, specialmente ai numeri molto ricorrenti nella trama.

Ma di cosa parla Equinox? Ho provato a spiegarlo ad un paio di persone senza fare eccessivi spoiler, ma quello che riesco a dire è “scompaiono alcune persone e poi si scopre che c’entrano degli strani rituali”. Mi rendo conto che non sia una grande spiegazione e che probabilmente non invogli alla visione della serie.

La realtà è che gli autori di questa serie riescono a mescolare in modo molto delicato leggende popolari, mitologia pagana e mistero e quello che ne viene fuori è una piacevole sorpresa sotto quasi tutti i punti di vista.

Seguono spoiler

Le due protagoniste, le sorelle Ida e Astrid sono la reincarnazione della dea pagana Ostara, dea che da tradizione viene celebrata durante l’equinozio di primavera. Le vicende si aggrovigliano mescolando una trama mystery alla scoperta di un passato nascosto e poco chiaro, che continua ad essere poco chiaro anche dopo il finale della prima stagione.

La storia di Ostara fa da sottofondo al viaggio di Astrid tra i misteri che circondano la scomparsa della sorella maggiore Ida, avvenuta vent’anni prima.

Secondo la tradizione pagana, infatti, Ostara è una degli otto sabbat pagani ed essendo la dea che rappresenta la primavera, a lei sono associati tutti quei simboli che riguardano la rinascita, la vita, la fertilità.

Ecco quindi che Ostara è molto vicina anche alla figura del Coniglio Pasquale, delle uova pasquali e della lepre, tutti simboli che riguardano la fertilità e la prosperità della stagione primaverile.

Lo stesso termine utilizzato per la Pasqua nelle lingue germaniche deriva proprio dal suo nome, che in inglese si è poi trasformato in Easter.

Ebbene, Equinox riunisce tutto questo simbolismo, se ne appropria e lo sfrutta a suo piacimento, secondo me riuscendo nell’intento almeno fino agli ultimi dieci minuti dell’ultimo episodio.

La dea Ostara deve unirsi in un rituale ierogamico con una figura che somiglia ad un enorme coniglio macabro per poi dare vita, probabilmente, ad una nuova reincarnazione della dea che poi ripeterà il rituale e così via.

L’idea, fin qui, è bella e accattivante, ma ci sono un paio di punti su cui la serie sembra perdersi in un bicchiere d’acqua, il che è un vero peccato.

Allora dov’è che la serie non ha funzionato?

Apprendiamo verso la fine che Ida e Astrid non sono veramente sorelle e che nessuna delle due è figlia di Denis: ma allora chi è il padre delle ragazze? La stessa Lene, mamma delle due sorelle, era a conoscenza del culto di Ostara? Aveva forse concepito la prima figlia durante uno di quei rituali?

Scopriamo infatti che Lene aveva promesso Ida al compiere dei suoi 18 anni, ma a chi l’aveva promessa? Al Konge? Ma se il Konge si rivela essere il professore e se ci viene detto che il ciclo si ripete ogni 21 anni, perché il limite dei 18 anni per Ida?

E soprattutto, se così fosse, il Konge sarebbe sempre sia padre che partner della reincarnazione della dea Ostara?

Non è chiaro, inoltre, neanche quali siano le origini di Astrid: di chi è figlia? È anche lei nata a seguito di un rituale? Chi è sua madre biologica e perché ha vissuto la sua vita con Lene e Denis? E l’autista del pulmino? Dove è stato?

Queste domande rimaste irrisolte lasciano dei dubbi sull’intera trama, il che è davvero un peccato perché l’idea di base sembra davvero ben strutturata e soprattutto molto intrigante. Fino agli ultimi dieci minuti ho sperato in una risoluzione o, in alternativa, in una buona impostazione per una seconda stagione ma, mio malgrado, non ho avuto nessuna delle due cose.

Il finale di Equinox non è in linea con il tono degli altri episodi, sembra quasi abbandonare la strada su cui si trova per dirottare su qualcosa di semplice e già visto, senza dare troppe spiegazioni.

Astrid riconsegna il libretto al Konge e magicamente sua sorella Ida e il resto della classe scomparsa nel 1999 tornano indietro (da dove?), si abbracciano e spariscono nel nulla.

A parte che il rispuntare così da una realtà di cui non capiamo nulla (neanche se fosse effettivamente vera) mi sa fin troppo di Stranger Things, avrei voluto avere una visione più chiara della trama.

Equinox parte benissimo, si sviluppa in modo interessante e apparentemente originale, per poi perdersi a pochissimi minuti dal finale e questa cosa mi ha fatto arrabbiare.

Sinceramente non saprei cosa aspettarmi da una eventuale seconda stagione, perché il tema delle persone ricomparse dopo anni è ormai visto e rivisto (vedi The Leftovers, Glitch ma anche Blindspot). Tuttavia, però, una seconda stagione potrebbe dare modo di comprendere meglio la prima e chiudere il cerchio in modo coerente senza lasciare l’amaro in bocca.

In definitiva, mi sento di definire Equinox come in gentile regalo che Netflix ha deciso di farci alla fine di un anno che, anche dal punto di vista seriale, ha prodotto talmente poche serie di qualità che possiamo contarle sulla dita di una mano sola.

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